il 25 settembre saranno 4,9 milioni gli italiani interessati dal problema- Corriere.it

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di Alessandro Vinci

La crisi di governo ha fatto sfumare l’introduzione di una legge ad hoc: in Europa solo il nostro Paese, insieme a Cipro e Malta, non prevede ancora soluzioni utili

L’articolo 3 della Costituzione parla chiaro: «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese». Eppure anche quest’anno, alle elezioni del prossimo 25 settembre, i 4,9 milioni di italiani che
secondo
l’Istat

vivono in una provincia diversa da quella di residenza saranno obbligati a presentarsi al proprio seggio di riferimento per prendere parte alle consultazioni. Si tratta dell’annoso problema del voto per i fuorisede, che esclude sistematicamente dalle varie tornate un consistente numero di cittadini impossibilitati a rientrare nei rispettivi comuni d’origine per ragioni economiche, familiari o lavorative.

Cinque proposte naufragate in Parlamento

Tra gli ultimi a esprimere il proprio disappunto, l’ex ministra della Semplificazione e della Pubblica Amministrazione Marianna Madia: «Circa 2 milioni di persone, molte delle quali giovani, che lavorano e studiano fuori dimora non potranno votare – ha twittato martedì (riferendosi con ogni probabilità solo a chi impiega più di due ore per tornare nel comune di residenza) –. Un diritto negato, un fatto grave».

Una presa di posizione tutt’altro che casuale, se si considera che la deputata Pd è firmataria di una delle cinque proposte di legge sul tema – una di iniziativa popolare, quattro di iniziativa parlamentare – bloccate dal Ministero dell’Interno a maggio 2021 dopo l’inizio del loro esame da parte della Commissione Affari costituzionali della Camera. Alla base della decisione del Viminale, non meglio precisati «ostacoli logistici insormontabili» e il
timore di possibili ritardi nello spoglio e di riconoscibilità del voto nei comuni più piccoli.
In conseguenza di ciò, il deputato Cinque Stelle Giuseppe Brescia, relatore delle proposte, avrebbe dovuto presentare a Montecitorio un testo unificato entro la pausa estiva dei lavori. Lo scioglimento delle Camere disposto dal presidente Mattarella a seguito della crisi di governo
ha però fatto naufragare tutto.

Italia maglia nera in Europa

Stando così le cose, l’Italia continuerà a vantare un primato ben poco lusinghiero (certificato da un recente report di «The Good Lobby» e del comitato «Io voto fuori sede»): quello di essere l’unico Paese in Europa a non contemplare nemmeno una modalità di voto a disposizione dei fuorisede insieme a Cipro e Malta (le cui ridotte dimensioni – va osservato – rendono tuttavia la questione molto meno rilevante). I paradossi, così, non mancano. Per esempio quello che vede il voto per corrispondenza garantito ai nostri connazionali che vivono negli angoli più remoti del pianeta – basta l’iscrizione all’anagrafe degli italiani residenti all’estero (Aire) –, ma non a chi studia o lavora anche solo a qualche decina di chilometri dalla propria città.

E pensare che i modelli da cui prendere spunto non mancherebbero: ci sono Paesi – dalla Francia al Belgio, dall’Olanda alla Polonia – che permettono la delega, altri – come Danimarca, Svezia, Portogallo e Austria – in cui è possibile votare in anticipo e/o recarsi in seggi speciali, mentre in Estonia già nel 2005 è stata introdotta perfino la modalità via Internet (i-Voting). In Italia invece salvo rare eccezioni (riservate a specifiche categorie tra cui scrutatori, militari o degenti in ospedali e case di cura) l’unica consentita resterà quella in presenza presso il seggio assegnato dalle liste elettorali. «Tutto cambia perché nulla cambi», osservava Tomasi di Lampedusa. Si sbagliava: nel caso del voto per i fuorisede, nulla cambia direttamente in partenza.

3 agosto 2022 (modifica il 3 agosto 2022 | 20:46)





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Alessandro Vinci , 2022-08-03 16:57:51 ,

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